Cavallo di Pontebba
Via Viaggio ad Uqbar
460 m VII-
Ripetizone M. Dall'Argine - M. Cuperlo 19/09/2020
In mezzo all’idillio ed al verde brillante del vallone Winkel sbuca come un frutto maturo l’accesa casera omonima. Il suo colore rosso acceso, la forma caratteristica e la posizione ai margini del bosco la rendono protagonista di un quadro che sembra l’illustrazione di un libro di fiabe. Fanno da contorno a questo giardino incantato le lontane torri Winkel e Clampil e, naturalmente, la compatta parete del monte Cavallo di Pontebba. Su questo calcare di confine tra Carnia ed Alpi Giulie alcuni celebri nomi hanno disegnato nel secolo scorso linee di grande fascino: si pensi alla difficile Lomasti-Piussi sullo spigolo della Winkel o alla Gocce di tempo di Mario Di Gallo o ancora alla Guerrino - di Marco. Nessuna di queste vie però è la protagonista di questa storia. Inizialmente questa valle ha, per così dire, “rifiutato” la mia visita. Poche settimane prima di approcciare l’itinerario che vado a descrivere oggi infatti, io ed un compagno ci siamo ritirati dalla classica Via dei finanzieri dopo aver imboccato un invitante diedro che si è rivelato essere fuori percorso, decisamente difficile e non proteggibile. In questa seconda visita invece, ho intrapreso assieme all’amico “Cup” un vero viaggio lungo la parete nord-est del Cavallo di Pontebba. La meta? Una città misteriosa, che esiste… o forse no: l’Uqbar del racconto Tlön, Uqbar, Orbis Tertius di Borges. Non essendo un affamato lettore di classici mi sono informato per vie traverse su quale fosse il possibile significato letterario di questa via, aperta dalla cordata Di Gallo – Pedrini nel ’95. Se il personaggio di Borges ha chiesto aiuto ai libri per verificare l’esistenza di Uqbar, gli alpinisti hanno chiesto aiuto alla roccia per scoprire se il viaggio verticale che volevano intraprendere fosse percorribile oppure no. La roccia, a prima vista compatta e scarsamente proteggibile, ha consegnato pian piano le chiavi di accesso alla mitica città, chiavi incarnate in punti deboli solo apparentemente nascosti che hanno aperto infine la porta della cima.
Dodici tiri di corda dalla difficoltà piuttosto sostenuta separano il viaggiatore dall’erbosa e panoramica sommità della montagna. Tutta la via, a parte una quasi certa variante che abbiamo percorso in uscita, è disegnata lungo una placca di qualità eccellente, proteggibile soprattutto a friends vista l’abbondante presenza di fessure. Un particolare che ho notato, ed è una considerazione meramente personale, è che a parte alcuni passaggi esposti non si ha mai la sensazione di trovarsi in piena parete. Non ho sentito la grande esposizione tipica di alcune big walls dolomitiche. Si scala, per così dire, intimamente, su difficoltà costanti che portano da terrazzino in terrazzino in stile classico e con grande estetica tipica dell’arrampicata di VI grado anche superiore. Pernottamento in furgone e la mattina presto si parte! Prima ancora di uscire dal bosco si scorgono le punte lucenti delle montagne che coronano il vallone Winkel: spettacolo garantito, soprattutto al primo sorgere del sole. E’ letteralmente mozzafiato veder comparire le montagne che la notte si nascondevano tra le alte fronde degli alberi. Per spiegare meglio questa sensazione si pensi allo spettacolo che offre la val Saisera appena usciti dall’autostrada: dopo ore di viaggio in mezzo a colline erbose, pareti dall’aspetto friabile e vegetazione di bassa quota, si gira l’angolo ed ecco comparire montagne gigantesche, maestose, lucenti. e non si può far a meno di domandarsi dove fossero nascoste! Ci incamminiamo verso la lontana forcella Winkel per poi abbandonare il sentiero in direzione della grande parete nord-est del Cavallo. Individuiamo visivamente l’attacco e saliamo senza via obbligata fin sotto parete. Sopra di noi, una cordata veneta sta intraprendendo lo stesso viaggio: questa coppia di Schio si rivelerà agile, silenziosa e di piacevole compagnia in quei terrazzini dove l’abbiamo incrociata. Parte Cup che supera una bella fessura di V, in condivisione con la vicina via Guerrino - di Marco, virando poi a destra per sostare sotto un evidente diedro. Il terzo tiro è piuttosto sostenuto con breve e delicato passaggio di VI all’inizio. La medesima difficoltà la si riscontra nella lunghezza successiva, lunghezza resa peculiare da una prima “dis-arrampicata” non banale e successiva traversata esposta fino alla vista del primo di 3 chiodi su placca compatta e tecnica. Il successivo tiro chiave, tutto per Cup, è una lunga e stupenda traversata ad arco su roccia molto compatta e di impossibile proteggibilità: è uno spit al centro del tiro che consente una scalata sicura. Si esce su un atletico VI grado protetto da alcuni chiodi. Da non sottovalutare il successivo V+ che porta alla vista dell’enorme strapiombo che solca la parete. Da qui ci si muove senza via obbligata verso il margine sinistro dello strapiombo cercando una serie di pilastrini presso i quali sostare per poi affrontare il secondo passaggio chiave. Come si può intuire, quando ci si muove senza via obbligata richiede il dover sostare utilizzando i propri mezzi. Nonostante la maggior parte dei ripetitori da me contattati non abbia usato chiodi, io ne ho portati comunque un paio e, provvidenzialmente, di lì a poco sarebbero stati necessari per approntare una sosta sicura proprio in prossimità della cima. Il secondo passaggio di VII- è, secondo me, piuttosto corto e non dà grossi problemi. Una volta eseguito un breve ma duro movimento sprotetto subito sopra la sosta, ci si rinvia su un bel chiodo per poi affrontare una sana fessura. Reputo questa la più bella sezione dell’intera salita: un V grado lungo il quale sia io che Cup abbiamo scalato, vista la scarsità di appoggi, di grande incastro di piedi, in stile “americano”, sino all’abbattimento della parete. Da questo punto credo abbiamo percorso una variante. Mi sono spostato troppo a sinistra rincorrendo la cordata sopra di noi e ho sostato su un singolo chiodo integrato con friend alla base di una sezione di roccia gialla e verticale. Speravo Cup riuscisse ad uscire definitivamente dalla via partendo da quel punto ma effettivamente la cosa sarebbe stata impossibile per chiunque avesse voluto proteggersi adeguatamente. Lo vedo così sostare su friends a metà dell’ultimo salto: avremmo dimezzato questo ultimo e non esaltante tiro. Se il primo passaggio si potrebbe considerare attorno al VI, alla seconda parte del tiro non riuscivo a dare un grado concentrato com’ero ad uscirne. Credo di esserci stato un’eternità, tra il tastare appigli e cercare disperatamente sane asperità dove proteggermi. Esco su una lunga colata rocciosa ed erbosa che nasconde il sole cercando il primo punto adeguato per sostare, cosa non semplice vista la roccia detritica. Scovo un sistema di fenditure dal quale sporadicamente escono ciuffi d’erba e pianto il primo chiodo che entra con un canto glorioso. Appena comincio a battere il secondo ecco che, probabilmente arriciatasi la punta della lama, questo schizza fuori con vigore e rimbalza a circa 5 metri da me. Esasperato e con un attrito indicibile sulle corde, dopo essermi protetto sul chiodo comincio a traversare terrorizzato quel mare di pietrisco recuperando poi l’attrezzo. Tiro su Cup sulla mia sosta approntata e questo, una volta arrivato, parte subito in direzione della cresta sommitale dalla quale mi recupera agilmente.
Sbucato in cresta, il sole mi costringe a strizzare gli occhi. Passo un attimo a godermi il tepore e appena li apro scopro che la mitica Uqbar non si nascondeva sulla cima della montagna bensì lungo la via che avevamo appena percorso. In effetti il viaggio non è per Uqbar ma proprio ad Uqbar! Come avevo potuto fraintendere il messaggio? Non è forse l’obiettivo dell’alpinista godersi il viaggio che porta alla meta più che la meta stessa? Sulla cima nessuna città, solo una cresta affilata ed un panorama di grande valore: Zuc dal Bor, Zermula, creta d’Aip. E, soprattutto, un lontano Montasio che veglia saggio e severo sul Friuli.
Peccato che questo viaggio abbia preteso un pedaggio dal povero Cup: una delle sue nuove scarpe d’avvicinamento che è precipitata nel nulla durante le operazioni di smistamento materiale appena arrivati in cresta. Era talmente arrabbiato che temevo per la mia incolumità. Nel vederlo scendere alla mia velocità senza una scarpa comunque non potevo non provare ammirazione. In furgone mi lancia una grossa lattina di birra che mi scolo praticamente a collo: “Te gavevi sede sì?” …e me ne prende una seconda.
Mauro Dall’Argine