Scozia - Ben Nevis

BEN NEVIS 2012 2015

Sulla scorta dell’esperienza vissuta durante l’inverno 2010 assieme all’amico Istruttore nazionale di alpinismo e Accademico del CAI Carlo Barbolini e ai suoi simpaticissimi compagni toscani, assieme ad alcuni istruttori della Scuola, nel febbraio 2012 e 2015 siamo andati Al Ben Nevis, in Scozia, per arrampicare sulle sue pareti ghiacciate. La magia invernale di questo luogo che grazie al Blizzard, un vento gelido del nord, avvolge con fantastiche strutture di ghiaccio le rocce della montagna e le sue pareti, ci ha catturato.

Ai suoi piedi lo Scottish Mountaneering Club, fin dai tempi dei pionieri della scalata su ghiaccio in stile scozzese, ha realizzato un rifugio, il CIC Hut, che offre un riparo durante le notti di vento invernali e che negli anni è stato reso sempre più confortevole. Dopo aver trascinato con fatica il necessario per la nostra permanenza di una settimana al rifugio, ci siamo persi nei meandri delle vie ghiacciate verso la vetta e da lì abbiamo divorato i paesaggi di neve e ghiaccio che si perdono sino ai fiordi del mare del Nord, che sembra uno specchio delle favole.

Le due squadre erano formate dagli istruttori Federica Russo, Lorenzo Coceani, Mauro Pianina e Giorgio Gregorio, con Roberto Percacci (aggregato) nel febbraio del 2012 e dagli istruttori della Scuola Interregionale VFG Ivan Da Rios, Marica Freschi e Daniele Mazzuccato accompagnati alcuni loro amici del CAI Veneto e da Laura Pauluzzi e Giorgio Gregorio nel febbraio 2015.

Durante le due splendide settimane, fortunate dal punto di vista delle condizioni del ghiaccio e meteorologiche, abbiamo percorso alcuni degli itinerari classici al Ben Nevis. Non si tratta di pareti come quelle delle Alpi, ma le salite dei colatoi ghiacciati delle Highlands scozzesi - il Ben Nevis (1344 mt.) è la cima più alta - possono essere considerate come le progenitrici delle moderne salite su cascate di ghiaccio. È su questo tipo di terreno che ha avuto origine la tecnica usata in seguito per percorrere sulle Alpi, tra la fine degli anni ’60 e ’70, vie di ghiaccio prima considerate impossibili.

Nella parte settentrionale della Scozia il Blizzard, vento polare molto freddo, unito alle quasi costanti precipitazioni invernali, sono la causa del formarsi di uno strato di ghiaccio più o meno spesso, generalmente molto umido e spugnoso, che ricopre tutte le pareti e gli stretti canali rocciosi (gully) delle modeste montagne locali. Su questo tipo di ghiaccio, il più delle volte, non era possibile con le tecniche degli anni ’50 che usavano i primi scalatori di queste montagne, intagliare gradini sicuri, né molte volte di apporre dei chiodi di protezione intermedia: tentare di farlo equivale, quasi sicuramente, a distruggere con le proprie mani ciò che rende possibile la salita. Una volta asportato con piccozze e ramponi il poco ghiaccio che ricopre la parete, ci si ritroverebbe sulla scivolosa roccia gelata, senza alcuna possibilità di usarla per progredire, né di usare le fessure, intasate dal ghiaccio. Gli alpinisti scozzesi si sono adeguati alle circostanze, salendo spesso senza alcuna protezione, prima con tecniche d’incastro, usando anche la lunga piccozza a questo scopo negli stretti colatoi ghiacciati, e poi pensando a nuovi tipi di attrezzi, per poter affrontare anche le pareti aperte.

Così nel corso degli anni ’50 si salirono molti gully nella zona occidentale della Scozia, sia sul Ben Nevis che nel Glancoe e, nel 1957, Tom Patey con Nicol Greame e Hamish Mac Innes (soprannominato la volpe del Glancoe) percorsero Zero Gully la prima salita di V grado scozzese con tratti quasi verticali.

Un anno dopo Jimmi Marshall e Robin Smith vinsero il mitico Poin Five Gully, il Gardyloo Buttress e l’Orion Face Direct, usando già la tecnica frontale, ma utilizzando, però, ancora piccozze molto antiquate. Non si può parlare di vero stile; qualunque mezzo era consentito per evitare il volo. Sebbene si salisse ancora con un’unica piccozza, fu qui che la tecnica della piolet-traction iniziò ad essere abbozzata. L’indiscusso artefice di quest’opera fu proprio Jimmi Marshall che divenne, come scrive nel 1978 Yvon Chouinard nel suo libro Salire su Ghiaccio “il maestro sotto al quale molti tra i migliori alpinisti scozzesi (vedi Robin Smith e Dougal Haston) ebbero il loro apprendistato.

Anche oggi non c’è probabilmente arrampicatore al mondo che sia capace di uno stile migliore di quello di Marshall su ghiaccio scozzese, dati gli stessi mezzi – una lunga piccozza e un paio di ramponi”.

La svolta si ebbe alla fine degli anni ’60, grazie allo scambio di esperienze tra lo scozzese John Cunningam e l’americano Yvon Chouinard, che permise allo scozzese di perfezionare la tecnica dellepunte avanti. Consapevole dell’inadeguatezza della piccozza tradizionale per questo tipo di progressione, Hammish Mac Innes mise a punto un attrezzo molto corto, il Terrordactyl. Lungo circa 40 centimetri, molto pesante e robusto, grazie alla sua struttura interamente metallica e alla sua becca inclinata a 45°, permetteva un’ottima infissione nell’aleatorio ghiaccio scozzese, e un uso in aggancio anche su pareti verticali.

Nel 1970 John Cunningam assieme a Bill March salì il breve ma verticale Chancer sull’Hell’s Lum Crag nei Cairngorms. Fu questa la prima scalata scozzese compiuta interamente con la tecnica delle punte frontali. Oggi le generazioni di fortissimi scalatori come Dave MacLeod e Andy Turner, hanno superato i vecchi limiti, ma non hanno cambiato la filosofia dei loro predecessori.

Le emozioni vissute da noi tutti durante le nostre campagne di arrampicata al Ben Nevis resteranno un segreto custodito tra le pareti di quella montagna, Vi proponiamo alcune immagini che già rendono il fascino e la magia del luogo.

 

Giorgio Gregorio