Via Mazzilis Frezza

II° Campanile delle Genziane

Via Mazzilis - Frezza

400 m   VII-

Ripetizione  M. Dall’Argine - E. Dreolin  02/06/2020

 

Penso non serva essere assidui frequentatori delle nostre montagne per collegare il nome di Roberto Mazzilis ad un alpinismo “di livello”. Ma cosa significa di livello? Io sicuramente non posso dare una risposta esaustiva a questa domanda avendo ancora poca cultura ed esperienza alpinistica. Sta di fatto che “di livello” (ed in questo caso capisco pienamente il significato della parola) sono state le emozioni che ho/abbiamo provato sulla Mazzilis – Frezza al secondo campanile delle Genziane. L’essermi approcciato a questa esigente via lo devo esclusivamente a Mauretto Bologna che un anno fa, dopo averla ripetuta, l’ha consigliata a gran voce. Diceva di non aver faticato molto (pur ammettendo si trattasse di una via difficile) e che avesse trovato sovrastimati alcuni passaggi considerati dalle relazioni come particolarmente ostici. Insomma: Mauretto è forte!  Comunque, per evitare pericolosi fraintendimenti, la via è inequivocabilmente difficile; sia per quanto riguarda la tecnica d’arrampicata richiesta (numerosi i tiri di sesto grado, anche superiore), sia per quanto riguarda la poca chiodatura presente. La cosa però si soffre meno di quanto ci si aspetti poiché la roccia è eccellente soprattutto lungo le difficoltà. Questa caratteristica, unita all’eleganza dei movimenti in un ambiente sereno, silenzioso e sospeso, rende la via una delle più belle scalate delle Alpi carniche. E’ incredibile come si possa trovare una tale quiete a pochi passi dalla “civiltà”.

Propongo la via al mitico Euge: una garanzia. Lui, come tutti i “forti”, è uno che non chiede sconti. Non si tira indietro se sente la pressione delle difficoltà, porta la sua parte di materiale (e spesso qualcosina in più) e riesce a creare un clima sereno e gioviale. Partiamo il pomeriggio del 01/06 a bordo del fake taxi di Euge (non si pensi male di lui, il nome del furgone è solo un nome d’arte) per dormire in zona sorgenti del Piave/rifugio Calvi. La mattina ci saremmo svegliati presto poiché presto volevamo essere all’attacco e poiché è presto che ci si deve svegliare quando si fa alpinismo. L’avvicinamento non è impegnativo: mangiamo metro dopo metro in rapidità giungendo presto alla vista dei campanili delle genziane. Scorgo, faccia a valle, le montagne di Sappada alle quali sono molto legato: riconoscere il Siera, il Creton di Culzei, il Creton di Clap grande ed il gruppo delle terze mi fa sentire quasi a casa. Troviamo immediatamente l’attacco e tiriamo a sorte su chi debba partire. Tocca a me!

Il tiro (V/V+), se confrontato a quelli successivi nell’ambito della prima parte della salita, è forse il meno esaltante ma comunque interessante ed estremamente logico. I passaggi sono ben proteggibili e con un po’ di freddo alle mani giungo alla comoda sosta su chiodo e clessidra. Euge supera poi il primo sesto grado, passaggio che anticipa quello che sarà lo stile di arrampicata nelle lunghezze successive: placche e diedri fessurati magnifici, da salire un po’ in Dulfer ed un po’ in spaccata, pochi chiodi di passaggio ma proteggibilità garantita a friends. Il breve terzo tiro è un diedro fessurato piuttosto complesso che porta ad una sosta che ho preferito integrare con friend. Segue, a parer mio, il più bel tiro della prima parte della salita: una placca ancora una volta solcata da fessura che presenta alla base un solidissimo lamone giallo. Con movimenti eleganti dettati da prese ed appoggi solidissimi si abbandona la verticalità alle spalle salendo sul piano detritico dove poggia lontana la vertiginosa parete gialla finale. Se la via poco prima presentava una logicità quasi commovente, tra roccette di II e III grado ci si commuove molto meno. Perdiamo tempo e forse un po’ di entusiasmo. Se non altro i punti di riferimento ci sono: un’evidente cavità nella roccia dove sostare e la parete finale sempre a vista. Raggiunti i gialli (nel nostro caso con qualche sporca variante non proprio esaltante) si può nuovamente apprezzare una roccia magica e compatta dall’aspetto severo ma invitante allo stesso tempo. Le ultime tre lunghezze ospitano due traversi impegnativi. Il primo, ben chiodato, è il passaggio chiave della via (VI+/VII-) ed il secondo (VI+) è improteggibile per una buona manciata di metri. Tocca ad Euge che dopo essere stato deviato da alcuni chiodi (sembra ci sia qualche variante) disarrampica eroicamente un tratto che sembrava liscio come il marmo per raggiungere la linea corretta. Nonostante l’energia fisica e psicologica dissipata per tornare indietro, libera il passaggio chiave sostando comodamente poco dopo. Lo raggiungo completando il passaggio e provando, come spesso accade in montagna, “il sintomo del secondo”. Non è linguaggio medico, ma solo un modo che uso per etichettare la sensazione tipica di chi, con la corda dall’alto, deve affrontare un passaggio difficile. In quei casi ci si domanda come caspita il nostro compagno abbia superato quella difficoltà e se noi, al posto suo, ci saremmo riusciti. Tocca a me il traverso improteggibile. Comincio, il battito aumenta, cerco le posizioni più comode e riposo spesso le braccia. Tacche minime e roccia porosa per i piedi. Sono lontano parecchi metri dall’unico chiodo quando comincio ad immaginarmi pendolare verso l’infinito ed oltre. Ma ecco che sopra la mia testa, noto un rovescio buono. Un respiro profondo, la focalizzazione sul movimento da coreografare e via. Messo il primo friend mi muovo verso sinistra lungo il sistema di fessure esposte e giungo alla scomoda sosta che apre l’ultimo tiro. Questo è breve e nuovamente intenso: tutto per Euge che mi raggiunge manifestando anche lui il “sintomo del secondo”. In grande esposizione sale la fessura lama strapiombante (VI) protetta da un paio di buoni chiodi (il primo dei quali è però decisamente lontano dalla sosta). Appena rimonta l’ultimo tratto verticale lo perdo di vista ed intuisco che lì la parete si abbatte definitivamente. Giunto io in quel punto indugio un momento: guardo sotto le gambe, a destra ed a sinistra: libidine! Un passaggio pazzesco. Lo raggiungo e senza perder tempo riparto subito tra le rocce friabili verso la forcelletta del campanile. Superata mi trovo sul versante nord, con la forcella delle genziane sotto il mio sguardo e i piedi nella neve. C’è in effetti un grosso nevaio che ci impedisce di raggiungere le ghiaie sottostanti. Invece di attrezzare doppie scoviamo e seguiamo una lingua di roccia nella neve che ci conduce presto alla forcella. Ci abbracciamo e ci prepariamo a surfare lungo il ghiaione. Essendo la val Rosandra la nostra casa, siamo degli specialisti in questa ricercata disciplina.

                                                                                Mauro dall’Argine