Grecia - Varassova

VARASSOVA 2003

Antefatto

L'idea è nata anni fa durante una serata a casa di Rampikino che mi rivelò l'esistenza di una parete sul mare di quasi 1000 metri, un po' per sdebitarsi per il nostro aiuto nella stesura sulla Paklenica per Alp.

Nell'aprile 2001 io, Sara, Doriano e Tiziana due cari amici rovignesi arrivammo così in zona rimanendo esterefatti davanti a questa imponente montagna, molto articolata che si incuneava prepotentemente nel mare proprio di fronte a Patrasso.

Acquistai subito la guida degli alpinisti greci per farmi un'idea su cosa si poteva fare e mi resi subito conto dell'enorme potenziale che ancora si poteva sfruttare.

Dopo un paio di giorni passati a ripetere alcune delle vie già esistenti individuammo una linea logica che si poteva salire con mezzi tradizionali.

Così in un caldo giorno senza vento noi quattro aprimmo “Pipiri”, una bella via a carattere esplorativo tutta a nuts, friends e chiodi normali per uno sviluppo di 550 metri e difficoltà di V e AO.

Percorremmo il cuore della parete che benevola ci rivelò altre bellissime linee di roccia compatta su placche da sogno ma le Meteore ci chiamavano con i loro enigmatici conglomerati e così riposi il sogno in un cassetto in attesa della giusta ispirazione.

Esattamente due anni dopo, sempre con Sara ed in compagnia di Dario Crosato e Marco Zebochin, partimmo per concretizzare il desiderio di aprire un'altra via, ma questa volta con il trapano e gli spits.

Occasione degna per festeggiare, tra l'altro, i 120 anni della Società Alpina delle Giulie, quasi a voler ripercorrere le orme di un nostro consocio molto più bravo di noi che in Grecia negli anni '30 aprì anche lui delle belle vie di roccia; è ovvio che si parli di Emilio Comici!

Mentre Dario e Marco si divertivano su "Africana", un'altra via di Varassova, io e Sara andavamo all'attacco del nostro progetto trovando però due altre via aperte di recente, ma passato lo stupore iniziale trovavo anch'io una memoria logica per aprire le danze e così aprimmo i primi due tiri di corda per poi scendere velocemente sotto un violento acquazzone!

Il dubbio però rimaneva su dove erano passati gli altri e soprattutto se erano usciti in cima.

Fortunatamente incontrai un alpinista greco che mi regalò le relazioni di queste due nuove vie e felicemente constatiti che si poteva continuare senza paura d'intersecarsi avendo ancora delle belle placche sulla destra a nostra disposizione per proseguire in completa autonomia. Anche Dario e Marco scalpitavano così il giorno seguente iniziò il loro turno di apritori mentre con Sara salivo la via dei greci alla nostra sinistra per fugare ogni dubbio e dare così una direttiva ai due volenterosi amici che continuarono per altre tre lunghezze di corda più un altro breve tratto dovendosi poi fermare essendo finita la carica della batteria.

Festa grande alla sera da Bratsos, il Dinko del posto, a studiare le nuove strategie di salita tra una birra e l'altra.

Avanti dunque per il terzo giorno d'apertura, io e Sara davanti per aprire mentre Marco e Dario dietro recuperavano un pesante bidone pieno di batterie e spits garantendoci così il rifornimento di materiale.

Giornata lunga per tutti; io e Sara raggiungevamo finalmente la cengia mediana della parete mentre gli amici dovevano sudare le proverbiali sette camicie per issare il perfido bussolotto blu che, essendo rotondo, pendolava allegramente a destra e a manca, incastrandosi ad ogni asperità o arbusto della parete.

Breve merenda e sigaretta di rito per poi incamminarsi con tutto sulle spalle lungo questa cengia che, in realtà, è una rampa colatoio con facili passaggi in roccia. Dopo una quarantina di minuti si giunge nell'anfiteatro superiore, da dove iniziava la seconda parte delle difficoltà.

Belle placche lavorate a gocce e rigole, una goduria nell'aprirle, ancora 3 tiri per            essere fermati da un robusto temporale pomeridiano.

A quel punto era meglio scendere, e alla svelta, prima che il colatoio si trasformasse in una condotta forzata per acqua e pietre.

Forse gli dei volevano farcela pagare, disturbati dal nostro trapano, oppure era una maniera scherzosa per darci il benvenuto. Stanchi e bagnati non restava che finire la serie di doppie e ritornare nuovamente da Bratsos per meditare sul da farsi.

Prima del temporale ero giunto sotto un muro verticale, povero di appigli, che dava l'impressione di essere il tiro chiave della faccenda; ma non mi riguardava più visto che l'indomani sarebbe stato il turno di Dario e Marco... Difatti mentre poltrivo beato dal poggiolo della casetta dove avevamo allestito il campo base con il cannocchiale, il giorno dopo, guardavo e tifavo per Dario che lentamente progrediva per alla fine passare le difficoltà e giungere all'agognata sosta; una bella cengia con boschetto da urbanizzare un pochino con le belle maniere!

Alla sera il povero Bratsos, con oramai una borsite cronica a furia di menare Coboloidi, poco comprendeva del nostro concitato intercalare, il morale era alle stelle bastava solamente il botto finale!

Di nuovo, dunque, sotto la parete con Sara alle prime luci dell'alba su veloci fino a raggiungere il punto massimo di ieri dove ci attendeva il trapano e tutti ferri necessari ma purtroppo alzando lo sguardo mi resi conto che bisognava ancora "masticar tabacco".

Un diedro intasato di vegetazione e blocchi instabili attendeva la mia visita per cui non restava che rollarsi un buon Drum, preparare il necessario e partire a spellarsi le mani in un improba azione di disbosco/disgaggio e chiodatura.

Il sole con il suo calore inopportuno mi fece capire che non era il caso di rallentare e così tiro dopo tiro giungemmo alla fine della via: ancora venticinque metri di prato inclinato pieno di margherite che ci condusse in cresta poco sotto quella vetta già raggiunta due anni fa.

Anche se stanchi eravamo felici di come era andata a finire mentre il nostro sguardo spaziava verso il mare ed il Peloponneso, un panorama stupendo che mi fece capire che anche questa volta ne era valsa la pena!

Non rimaneva che raccogliere il superfluo e farsi con prudenza sedici doppie per ritornare dagli amici a festeggiare ma il destino è sempre in agguato!

La discesa filò liscia come l'olio peccato che non potemmo festeggiare in degna maniera essendo Sabato Santo per la ricorrenza della Pasqua ortodossa e così brindammo con le ultime due lattine di birra stanchi più che mai spronando Dario e Marco che non si fecero pregare realizzando l'indomani la prima ripetizione della via.

Precisazione

Una via aperta con il trapano; che sarà mai, come si fa, sacrilegio!

Per chi non è pratico della faccenda racconterò un paio di cose giusto per fare un po' di chiarezza sulla cosa.

Bene o male, nel mondo alpinistico, si parla tanto sull'uso del trapano e degli spits per aprire una nuova via di arrampicata.

Forse ai cultori dell'alpinismo classico può sembrare una cosa blasfema ma anche se posso rispettare l'idea altrui, non ne sono d'accordo.

Il trapano permette sì di piazzare gli spits e rendere il tutto più sicuro ma dipende come lo si fa.

In primis è giusto non andare in luoghi dove si corre il rischio di ricalcare o intersecare vecchie vie snaturando una parete magari storica e in seconda battuta bisogna utilizzarlo arrampicando comunque dal basso come si faceva una volta, piazzando lo spit dove serve esclusivamente per proteggersi da una potenziale caduta e non per progredire usandolo come appiglio artificiale.

Chi apre le vie deve salire fino a trovare un posto che gli consente di recuperare il trapano, forare le rocce e poi inserire lo spit e la piastrina agganciando il rinvio e la corda di sicura di conseguenza.

Per far ciò bisogna a volte appendersi ad un cliff hanger o magari rimanere in equilibrio precario visto che si sceglie di aprire questo genere di vie in posti di roccia compatta dove i chiodi normali non troverebbero un utilizzo sicuro.

Per chi apre comunque i rischi rimangono specie se si è ben distanti dall'ultima protezione e magari il trapano si è incastrato e si è così costretti ad arrampicare in discesa al limite del volo per andare a recuperarlo. In più bisogna tenere conto che su una grande parete i pericoli oggettivi rimangono e uno spit non ti ripara certo dalle scariche di pietra o dai temporali.

Attenendosi a queste regole, a parer mio, si traccia un itinerario sicuro e impegnativo rimanendo comunque umili perché non si tratta di una grande impresa alpinistica che farà la storia, ma piuttosto un nuovo modo di arrampicare, comunque creativo e non banale.

Oggi giorno tanti criticano, lo ripeto, questo genere di vie ma sarebbe utile lo provassero almeno una volta, magari in mia compagnia, per tastare con mano la faccenda in tutti i suoi aspetti per poi ritornare alla base e godersi il meritato brindisi in compagnia e amicizia come dovrebbe essere giusto fare fra alpinisti.

I cani randagi alla catena o sciolti lo fanno già e De Gregori anche lo musicò.

 

Da “ALPI GIULIE 2003 97/1”

Paolo Pezzolato (Fox)