Turchia - Ala Daglar

ALA DAGLAR 2008

125° della fondazione della Società Alpina delle Giulie Sezione del CAI di Trieste

Diego Cociancich “Dunga” - Stefano Zaleri “Calicetto” - Marco Zebochin

 

L’aereo parte da Venezia alle undici e alle sei della mattina sono disteso in divano con 39° di febbre.

Forse è un segno del destino che mi dice: “Stai a casa, ormai sei vecchio, sei il nonno della compagnia con i tuoi 54 anni”. Sarebbe meglio cambiare destinazione ed invece dell’Ala Daglar dirigersi verso un’assolata spiaggia turca.

Ma un moto di ribellione scatta perentorio in me e ingurgito tutto d’un fiato un beverone contro la febbre, finisco gli ultimi preparativi e parto.

Ricomincio ad avere dei dubbi sull’opportunità di partecipare a questa spedizione quando all’aeroporto mi rubano lo zaino. Non sarà mica il secondo avvertimento?

Arriviamo ad Ankara, noleggiamo un’automobile, prendo un’altra dose di elisir di lunga vita e mi addormento sul sedile mentre “Calice” guida nella notte e “Dunga” lo intrattiene in chiacchere.

Mi risveglio che fa ormai mattina ed abbiamo pressoché raggiunto il paese di Marti Mah. Ci accolgono nella loro casa Recep Ince, sua moglie Zeynep ed il cane Duman: un simpaticissimo trio.

Dopo alcuni giorni di ricognizioni all’interno del Parco Nazionale dell’Ala Daglar per individuare delle possibili linee di salita, decidiamo di impegnarci sullo spigolo di una delle cime che formano il Siyirma Valdisi Koca Dolek.

Andiamo a bivaccare alla base della parete la sera prima e poco dopo l’alba cominciamo ad arrampicare. Passano abbastanza bene il primo tiro, il secondo ma al terzo, poco sotto la sosta, mi ritrovo a combattere un violento corpo a corpo con un enorme pilastrino incastrato sul fondo del diedro che mai avrei pensato potesse staccarsi.

Terzo e definitivo avvertimento?

Sotto di me c’è “Dunga”, anche la mia corda è in pericolo; spingo con mani gomiti, ginocchia mentre grido a “Dunga” di spostarsi il più possibile. Riesco a trattenere ancora un po’ il menhir poi lo lascio scivolare verso valle…che spavento! Ne usciamo con un sorriso ebete stampato sul viso e con solo tagli e graffi alle mie mani e gambe. Poi fila tutto liscio e comincio a pensare di aver superato il momento di sfiga.

Nei giorni successivi ripetiamo “Vento d’estate” di Oviglia, apriamo un’altra via sullo Yelatan e percorriamo un altro itinerario di Oviglia.

La campagna alpinistica è andata bene, i presagi funesti si sono dissolti nello splendente cielo turco ed alla fine la gioventù e la spensieratezza dei miei compagni d’avventura mi hanno fatto dimenticare le mie tante primavere.

Marco Zebochin